lunedì 28 aprile 2008

RABBIA E FRUSTRAZIONE DEI RIFUGIATI NEGLI “ZOO UMANI”



Quando Mu La parla, la sua voce e’ cammuffata da 27 anelli di ottone che la 44enne porta attorno al collo.

Pero’ il messaggio della rifugiata Birmana – che vive in un villaggio a nord-ovest della Tailandia costruito appositamente per i turisti – e’ chiaro e limpido: “vogliamo andarcene da qui’, non importa dove purche’ via. Ci sentiamo prigionieri”.

I visitatori chiamano il villaggio “lo zoo umano” sebbene il governo Tailandese rifiuta tale termine ritenendolo assurdo.

Mu La fa parte di un gruppo etnico le cui donne portano anelli di ottone al collo che qualifica il loro status symbol: piu’ il collo e’ allungato, piu’ bella e’ la donna. Gli anelli possono arrivare a pesare oltre i 10 Kg e con il passare degli anni il loro peso spinge verso il basso sia le spalle che le scapole conferendo l’impressione di allungamento del collo, da qui’ il nomignolo di “donne dal collo lungo o donne giraffa”.

I Tailandesi chiamano tale gruppo etnico “Padaung” sebbene gli stessi considerino tale termine denigrante e pertanto rigettato a favore del termine d’origine “Kayan”. Il loro villaggio si chiama Kayan Tayar.

Una coppia di turisti Italiani ha pagato 250 baht per entrare nel villaggio di Kayan Tayar che si trova al termine di una strada sterrata a nord-ovest di Mae Hong Son. La turista continua a scattare foto ripetendo continuamente “incredibile” mentre le lenti del suo obiettivo si avvicinano il piu’ possibile ai soggetti.

La donna piu’ anziana del villaggio, Ma Le di 80 anni, non e’ assolutamente disturbata poiche’ da tempo e’ abituata a tali intrusioni.

Normalmente, arrivano 3-4 gruppi al giorno e a volte anche 20” dice Mu La seduta nella veranda della propria casa di legno mentre sta tessendo una sciarpa. Le case nel villaggio vengono costruite su palafitte poiche’ l’area viene regolarmente allagata durante la stagione monsonica. Tutte le case non hanno l’elettricita’.

I turisti pensano che siamo primitivi” dice Zember di 23 anni “le guide non vogliono vedere strade e case pulite o moderne pertanto siamo costretti a vivere cosi’ per appagare i turisti”. Quando gli affari vanno bene ed arrivano gruppi a sufficienza, ognuna delle 60 donne che hanno gli anelli riceve 1.500 baht al mese dagli operatori Tailandesi mentre i bambini e gli uomini non ricevono nulla. La paga delle donne serve pertanto a sfamare tutti i 260 villeggianti. In bassa stagione, non c’e’ paga. I villeggianti sperano quindi nelle donazioni.

Come tanti altri compaesani, Mu La e’ scappata da casa verso la fine degli anni 80 per non cadere nelle mani del regime militare oppressorio e brutale. “I soldati venivano in ogni momento e costringevano gli uomini a servire al fronte a favore del Governo nella propria guerra contro le armate ribelli, mentre le donne venivano poste a marciare davanti ai plotoni nel caso in cui vi fossero mine”. Quando Mu La e’ scappata, e’ finita in un campo profughi al confine Birmania-Tailandia. Successivamente poi qualche uomo d’affari Tailandese ha fiutato il potenziale ritorno economico di queste donne dai tratti cosi’ esotici e le ha comprate trasferendole cosi’ in 3 villaggi costruiti appositamente tra i monti di Mae Hong Son.

Alcune famiglie non sono per nulla scocciate di essere diventate calamite per i turisti. Il villaggio di Huay Sua Thao e’ abitato principalmente da immigrati interessati a diventare un’attrazione turistica. Molti di questi immigrati sono d’accordo nell’affermare che la loro vita attuale e’ meglio di quella che facevano in Birmania. Ci sono poi gli abitanti del villaggio di Huay Pu Keng i quali non hanno nulla di cui lamentarsi e che anzi dicono “speriamo che tanti e poi tanti turisti vengano qui’ “come Mu Nan di 52 anni la quale tira a campare vendendo souvenir e, come tante altre donne, porta gli anelli attorno al collo da quando era bambina.

Mu Nan intende rimanere fintantoche’ la situazione in Birmania non migliora ed e’ pronta a ritornare non appena il proprio Paese si libera dalla dittatura instaurando la democrazia mentre Mu La in Kayan Tayar ha perso tutte le speranze dopo quasi 20 anni vissuti da rifugiata.

Nel 2005, Mu Nan ha fatto domanda assieme ad altre 20 persone dislocate nei 3 villaggi per il ricollocamento in Nuova Zelanda che era pronta ad accettarli attraverso il patrocinio dell’ONU il quale si sarebbe sobbarcato il costo del biglietto aereo. Il loro piano per l’inizio di una nuova vita e’ pero’ andato in fumo a causa del rifiuto da parte delle autorita’ Tailandesi di emettere il visto d’uscita.

Coloro che non vivono in rifugi temporanei come i campi non vengono riconosciuti come rifugiati” afferma Tharit Charungvat, portavoce del Ministero Affari Esteri a Bangkok il quale aggiunge “garantire loro un visto d’uscita sarebbe stato ingiusto verso coloro che vivono ancora nei campi e che stanno aspettando di essere ricollocati. Cio’ detto, hanno scelto volontariamente di andarsene dai campi. Ora sono liberi e guadagnano soldi ”. La parola liberi lascia pero’ un sapore amaro nelle bocche dei villeggianti poiche’ rischiano l’arresto qualora vengano trovati alla ricerca di lavoro fuori dal proprio villaggio.

Le donne di Kayan Tayar sono poi le piu’ arrabbiate poiche’ ritengono che le autorita’ Tailandesi abbiano rifiutato loro i visti d’uscita per non perdere il business lucrativo in qualita’ di attrazione turistica. Disilluse ed arrabbiate, alcune hanno deciso di protestare rimuovendo gli anelli al collo, sperando in tal modo di ottenere il visto d’uscita. Zember ricorda “imparato l’inglese, sono rimasta scioccata dai commenti dei turisti i quali erano disgustati nel vederci in esposizione per pochi soldi come se fossimo animali di uno zoo” precisando che cio’ non e’ mai stato il caso poiche’ andava fiera dei propri anelli al collo e voleva aggiungerne altri. “Ero orgogliosa di essere una donna Kayan” aggiunge. Oggi, Zember e’ una ragazza qualunque poiche’ ha deciso di condurre una vita normale togliendosi gli anelli sebbene le spalle cadenti rivelino tutto il suo passato.

Anche Mu La, mamma di 8 figli, sta pensando di togliersi i 27 anelli che le conferiscono il collo piu’ lungo del villaggio. “Sono orgogliosa delle nostre tradizioni” afferma sebbene si e’ detta pronta al sacrificio per un biglietto verso la liberta’. “Se quello e’ il solo modo per poter andarmene allora sono pronta a farlo”. Ma Lo, un’altra ragazza, e’ anche lei stanca e frustrata della vita nel villaggio e si e’ quindi tolta gli anelli.

C’e’ una cartolina in giro raffigurante Ma Lo mentre allatta il proprio bimbo. Nessuno le ha chiesto il permesso di pubblicare la foto. “mi sono vergognata quando ho visto la foto per la prima volta senza che potessi fare nulla. Non mi va’ di essere messa in esibizione cosi’. Anch’io ho diritto al rispetto”.



Fonte: Christiane Oelrich - Bangkok Post

giovedì 24 aprile 2008

POLIZIA SENZA VERGOGNA ANCHE DI FRONTE AD UN ORRIBILE ESEMPIO DI TRAFFICO UMANO




la polizia di Ranong insiste nel dichiarare la tragedia non come una caso di traffico umano




54 e’ il numero dei Birmani morti a Ranong dentro ad un camion rimorchio durante il loro contrabbando verso Phuket ma la Polizia rifiuta di toccare l’anello che riguarda il traffico umano. Indovinate perche’ ? Dura poverta’ ed oppressione politica non sono i soli fattori principali di questo flusso senza fine di immigrati lavoratori dalla Birmania. Ugualmente importanti sono le nostre malattie domestiche. Sapete cosa ? Chiamatela complicita’ di Stato, chiamatela corruzione sistematica, chiamatela spietatezza, la si puo’ chiamare in qualunque modo ma queste sono le vere nude e crude ragioni che stanno alla base di questo schiavismo moderno nascosto nella nostra cosiddetta terra Buddista.

La tragedia a Ranong e’ stata un caso. Se non ci fosse stata la rottura del sistema di ventilazione, il camion-frigo avrebbe portato tutti i 121 lavoratori sani e salvi a Phuket come fatto tante altre volte precedentemente e la polizia locale avrebbe continuato a far finta di non saperne niente (come sempre) del traffico umano che passa praticamente sotto il loro naso giornalmente.

Poiche’ la polizia adesso non puo’ chiudere un occhio su cio’ che e’ successo a Ranong, e’ pero’ interessante vedere la loro reazione con lo scopo di proteggere quelli che passano loro “gli alimenti”. No, non i cittadini che pagano le tasse. Indovinate chi ?

Se un caso viene registrato come traffico umano, il lavoratore immigrato deve essere trattato come vittima e pertanto gli viene riconosciuto aiuto e compensazione Statale. L’immigrato deve anche essere protetto in qualita’ di testimone che puo’ aiutare nelle indagini per scovare i responsabili del racket.

Tuttavia, la polizia di Ranong insiste nel dichiarare la tragedia non come un caso di traffico umano in quanto gli immigrati nel camion “non sono stati costretti con forza o inganno” a venire in Tailandia. Inoltre, i birmani si trovavano “in viaggio, senza avere una destinazione” e tale definizione non li categorizzerebbe come lavoratori in schiavitu’. Pertanto, il caso rientra nel processo di entrata illegale nel Paese il quale significa che questi immigrati Birmani devono essere arrestati, multati e deportati immediatamente.

Queste ragioni sono pazzesche non solamente perche’ sono di un’assurdita’ inaudita, ma anche perche’ mettono in evidenza di come la polizia ci veda: nientemeno che perfetti imbecilli.

Come diavolo avrebbe fatto la polizia a sapere che gli immigrati non sono stati costretti o ingannati ? Qual’e’ la loro definizione di consenso ?

Secondo l’ONU, il traffico umano copre il reclutamento, il trasporto, il trasferimento ed il contenimento di persone in modi diversi attraverso l’uso di minaccia, forza, abuso di potere o promessa di benefici futuri. Il consenso e’ irrelevante quando viene scambiato denaro avente scopo di sfruttamento.

Nella tragedia di Ranong, il camion era diretto a Phuket. Come puo’ la Polizia dire che manca la destinazione ? I soldi sono passati di mano in mano durante il trasporto di questa gente il cui racket e’ gestito dalla mafia locale. Come puo’ la polizia dire che questo non e’ un caso di crimine organizzato in traffico umano ? E’ una scusa coniata dalla polizia Tailandese che ha fatto della Tailandia un centro smistamento di traffico umano nel Sud-Est Asiatico.

Le promesse alla comunita’ internazionale di combattere il traffico sono vuote poiche’ la polizia rifiuta di cambiare il corso. E perche’ poi dovrebbe ? Il mese scorso, il Primo Ministro Samak Sundaravej ha suggerito un modo innovativo per scoraggiare la migrazione di musulmani dalla Birmania alla Tailandia: prenderli e mollarli su un’isola deserta.

Inoltre, ci sono stati tentativi di depistaggio dell’opinione pubblica nel far credere che la legge contro il traffico umano non e’ ancora posta in essere. Ovviamente, cio’ non e’ vero. L’attuale legge, che protegge solo donne e bambini, e’ stata cambiata al fine di includere anche i maschi lavoratori.

Delle 54 persone che sono morte soffocate, 37 erano donne. C’erano anche bambini tra i morti. Perche’ la polizia non ha utilizzato tale legge per catturare il pesce grosso del racket ? Tutti purtroppo ne sappiamo la ragione e tale e’ il motivo per cui e’ impossibile combattere il traffico umano se prima non pensiamo a combattere la nostra polizia.


24/4/08 – Fonte: Sanitsuda Ekachai