Il fallimento di una risposta formale ai lavoratori immigrati che in numero enorme si riversano nei confini Tailandesi offrendosi come manodopera a basso costo, funzionari ed ufficiali Tailandesi e Birmani ne hanno permesso il traffico ed il contrabbando nelle mani di organizzazioni criminali e mediatori senza scrupoli
Il cadavere, vestito di un completo nero con cravatta, emerge dalla cella frigorifera. Io ed il mio collega rimaniamo scioccati nell’obitorio mentre facciamo domande riguardo Awa, un giovane immigrato della tribu’ dei Shan morto ucciso da un elefante mentre lo stava sfamando in un parco safari a Chiang Mai.
Parenti di Awa non si sono fatti avanti per identificare e reclamare il corpo per la paura di venire arrestati poiche’ non sono registrati e quindi illegali. L’assistente ci ha spiegato che cio’ non permette l’emissione del certificato di morte che da’ il via al procedimento legale e pertanto il corpo non verra’ lavato e pulito ma cremato dopo una cerimonia religiosa e le ceneri gettate via. Dopotutto, Awa era solo l’ennesimo Birmano illegale.
Awa e’ morto nel 2006 e, come succede solitamente agli immigrati in Tailandia, e’ morto in un tragico silenzio. Queste morti riguardano i piu’ sfortunati dei quasi 2 milioni e piu’ immigrati lavoratori presenti in Tailandia e continuera’ ad essere cosi’ a meno che le cose cambino radicalmente nella insufficiente gestione dell’immigrazione da parte del Governo.
Dopo tanti anni, ora capisco davvero il significato del contrasto tra 2 cadaveri che ho visto quel giorno ossia il modo in cui gli immigrati finiscono nel gradino piu’ basso di qualsiasi altro essere umano nella piramide sociale Tailandese.
Per oltre 20 anni, l’economia Tailandese ha utilizzato manodopera a basso costo dai confinanti Cambogia, Laos e Birmania per sostenere la rapida crescita economica. Il sudore degli immigrati (e spesso anche il loro sangue) hanno contribuito alla costruzione di grattacieli ed interi quartieri.
Inalando sostanze nocive e con una pelle sempre piu’ scura, gli immigrati contribuiscono a progetti agricoli intensivi che sporcano le campagne. Pulendo le case e badando ai vecchi ed ai malati, le donne immigrate costituiscono un servizio sociale inestimabile per le famiglie Tailandesi le cui donne rimangono cosi’ libere di perseguire la loro ben remunerata professione mentre le immigrate subiscono abusi e soprusi, confinate dentro quattro mura dalle quali spesso non possono uscire.
Il contributo degli immigrati all’economia Tailandese e’ stata da poco quantificata oltre ogni dubbio anche dagli economisti della Banca Mondiale.
I legislatori Tailandesi piu’ prominenti hanno spesso insistito negli ultimi 20 anni che questi lavoratori immigrati “illegali” costituissero una forza temporanea. Il programma di “regolarizzazione” varato ogni anno dal Governo, concedeva i mezzi per regolare il loro stato da illegale a legale dove potevano lavorare per 1 anno previa decisione di deportazione in qualsiasi momento.
C’e’ il fallimento di una risposta formale ai lavoratori immigrati che in numero enorme si riversano nei confini Tailandesi offrendosi come manodopera a basso costo e dove funzionari ed ufficiali Tailandesi e Birmani permettono che il loro traffico e contrabbando avvenga tramite organizzazioni criminali e mediatori senza scrupoli.
Nella realta’, dal 1988 diversi sistemi di regolamentazione provvisoria degli immigrati assicuravano che oltre 2 milioni di lavoratori (di cui piu’ dell’80% Birmani) rimanessero “illegali” e (secondo alcuni ufficiali Tailandesi) venissero pertanto loro negati diritti umani fondamentali. Nei diritti negati agli immigrati “registrati”, sono compresi compensazione, riabilitazione e disabilita’ nel caso di incidente sul lavoro, il diritto di matrimonio, di guidare un mezzo, di viaggiare fuori dalla provincia nel quale sono registrati e di avere proprieta’.
Osservazioni che la Tailandia sta sistematicamente ed illegittimamente discriminando questi lavoratori aventi permesso di lavoro, sono sempre state rifiutate.
Vittima di questo pasticcio immigratorio sono le centinaia di migliaia di immigrati che sono sempre vissuti “temporaneamente” in Tailandia per piu’ di un secolo. Dato che molti arrivano in Tailandia ad un’eta’ piuttosto giovane, risulta piuttosto naturale che questi trovino il proprio partner, facciano figli e si sposino. La risposta ufficiale e’ stata la loro pubblica demonizzazione a causa della nocivita’ che le immigrate incinte portano al tessuto sociale Tailandese ad al peso esercitato sulle risorse dai bambini immigrati.
Sebbene minacce frequenti di iniziare a deportare le donne incinte non hanno mai avuto esito, molti bambini figli di immigrati rimangono non registrati e pertanto analfabeti e una regolamentazione in merito rimane assente.
Le autorita’ insistono che il flusso irregolare degli immigrati e’ una seria minaccia alla sicurezza nazionale la quale fa emergere la seguente domanda: che cosa si intende per “sicurezza nazionale” ? Significa assicurare la continuazione di corruzione che pervade nel modo in cui questa forza lavoro informale viene gestita o l’abilita’ ad assicurarsi una forza lavoro di oltre 2 milioni di persone che contribuiscono alla crescita economica del Paese dove necessario ma che continuano a vivere in enormi situazioni di sfruttamento ? Se e’ cosi’, allora la sicurezza in Tailandia rimane forte.
Se invece “sicurezza nazionale” incorpora anche un fondamentale livello di sicurezza umana per gli immigrati e richiede una formalizzazione del sistema di gestione dell’immigrazione che possa beneficiare all’economia Tailandese, alla popolazione cosiccome equamente alle aziende e agli immigrati, allora la Tailandia e’ veramente a rischio.
La tensione esistente nei villaggi tra immigrati e Tailandesi sembra essere in aumento poiche’ i Tailandesi capiscono poco chi sono questi immigrati, perche’ sono qui’ e perche’ la loro comunita’, a detta loro, e’ ora a prevalenza di immigrati. Cio’ e’ emerso chiaramente quando i residenti di Ranong (paese al confine con la Birmania) hanno recentemente reclamato che gli immigrati birmani che superavano il processo di verifica della nazionalita’ non venisse loro riconosciuto il diritto di guidare un motociclo.
Molti media utilizzano il loro potere in modo cosi’ irresponsabile e con profondo pregiudizio demonizzando pubblicamente gli immigrati in supporto della linea ufficiale che li brandisce come un pesante fardello per il Paese. Affermando che sono un peso piuttosto che un beneficio per la Tailandia, non corrisponde alla realta’: non hanno previdenza sociale ed il governo ha poche leggi atte a migliorare la loro qualita’ della vita assieme a servizi di cui gli immigrati registrati possono usufruire e che invece non vengono utilizzati.
Reclamando che i loro salari sono piu’ alti qua’ che nel loro Paese e che sono gia’ fortunati che venga loro concesso di stare in Tailandia sebbene siano clandestini, non e’ un motivo giusto per zittire le critiche e per giustificare la negazione di diritti umani fondamentali ma serve piuttosto a consolidare il potere su una manovalanza di immigrati a basso costo, facilmente sfruttabili e remissivi. Dicendo che gli immigrati rubano il lavoro ai Tailandesi corrisponde a dare la colpa nel luogo sbagliato poiche’ sono i datori di lavoro a determinare il mercato della manodopera e non gli immigrati. L’incapacita’ di modernizzare i metodi di lavoro allo scopo di aumentare la produttivita’ ma piuttosto l’affidamento sulla manodopera a basso costo degli immigrati poiche’ il Paese stesso non puo’ produrre, condurra’ presto al cedimento nella competititiva’ globale. Poiche’ i prossimi 20 anni non saranno gli stessi per quanto riguarda l’economia globale, la politica Tailandese sull’immigrazione dovrebbe piuttosto cercare di adattarsi. Il Paese si trovera’ presto non piu’ in grado di competere con altri Paesi dell’ASEAN nella fascia di produzione a basso costo. I consumatori globali sono ora piu’ preoccupati riguardo pratiche di lavoro etniche e meno orientati all’acquisto di beni e servizi derivanti da sfruttamento. Alcuni cercano di dar credito al governo per la sua strategia (pianificata sin dal 1999 ma applicata solo di recente) che vede la formalizzazione del flusso migratorio “irregolare” del Paese in 3 tappe:
1) verifica della nazionalita’ dell’immigrato in Tailandia e rilascio di passaporto temporaneo cosi’ da poter diventare “legale” attraverso un processo di verifica della nazionalita’ (VN).
2) pianificazione del numero strettamente necessario di lavoratori immigrati e succesiva regolazione del flusso immigratorio lavorativo “legale” tramite accordi formali tra i governi dei Paesi coinvolti
3) registrazione come “legali” degli immigrati “illegali” che sono attualmente nel Paese permettendo loro di lavorare temporaneamente fintanto che non si raggiungano le condizioni come da punto 1 e 2
Sembra pero’ che forze negative inculcate nella societa’ Tailandese abbiano costituito la ragione di 20 anni di politica immigratoria informale e continuano ad essere ancora troppo presenti affinche’ tale strategia venga introdotta.
Dal 2002 da quando vennero stabiliti i primi canali di arrivo del lavoro immigratorio, solamente circa 25.000 lavoratori sono stati legalmente portati in Tailandia (una media di 3.000 persone all’anno). Il processo di VN continua a non essere trasparente oltre a custituire un casino costoso.
Circa 1 milione degli oltre 2 milioni di immigrati stimati in Tailandia sono formalmente entrati nel processo di registrazione con scadenza 28 febbraio 2010 e che ha visto la minaccia di deportare coloro che non si registrano.
Questo tipo di costrizione particolarmente sulle minoranze etniche Birmane che lavorano in Tailandia, e’ stato condannato dall’ONU.
Con la stima al 28 febbraio 2012 di circa 1 milione di lavoratori che completeranno il processo di VN (ammesso che la verifica delle informazioni biologiche spedite nelle case degli immigrati siano genuine), il governo si dovrebbe presto rendere conto che un bel numero di immigrati (soprattutte le minoranze etniche Birmane) hanno dato informazioni false al fine di ottenere l’estesione del permesso di lavoro per altri 2 anni. Cio’ accade per paura e confusione in quanto il Ministro del Lavoro non ha spiegato bene agli immigrati ed ai loro datori di lavoro in che cosa consistesse il processo di VN e quale scopo abbia prima di stabilire termini di scadenza irreali.
Chiaramente simbolico risulta il trattamento degli immigrati in Tailandia con la presenza di mediatori. Sia come parte del processo di VN che del nuovo sistema di gestione del flusso immigratorio, la complessita’ di entrambe le procedure fa’ si che sia necessario un mediatore.
Se la Tailandia avesse un’intenzione veramente genuina a risolvere il problema dell’immigrazione, il costo di questi mediatori sarebbe tagliato fuori o comunque ridotto a favore di incentivi da dare agli immigrati ed ai loro datori di lavoro per potersi adattare al processo. Invece, la presenza del mediatore non e’ nella pratica regolata nonostante alcune direttive informali annunciate dal Ministero del Lavoro ed i costi rimangono “da estorsione” sia per l’immigrato che per il datore di lavoro. Voci abbondano riguardo chi c’e’ dietro a questi mediatori i cui ingenti profitti vanno ingiustamente a scapito degli immigrati.
Il 2 Giugno 2010, il Primo Ministro Abhisit Vejiajiva e’ intervenuto nel dibattito sull’immigrazione firmando un’ordine di formazione di un “centro speciale di soppressione, arresto e prosecuzione di lavoratori stranieri che lavorano in nero”. La repressione successiva e’ parte essenziale della strategia del governo di gestire formalmente l’immigrazione arrestando e deportando gli immigrati che si rifiutano di entrare nel processo di VN.
Il risultato e’ stata una bella documentata politica di “arresto ed estorsione” da parte della polizia e relativi ufficiali che ha coinvolto sia immigrati registrati che non registrati. La stampa internazionale ha iniziato ad esporre la mancanza di pratiche formali di deportazione che hanno visto gli immigrati Birmani cadere vittima di cicli viziosi di estorsione e traffico dove mediatori, ufficiali e milizie etniche in Mae Sot / Myawaddy e Ranong / Kaw Thaung erano tutti coinvolti.
Tra un annuncio del Vice Primo Ministro riguardo l’intensificazione controlli dei clandestini e nonostante il governo instista a dire che non ci sara’ mai piu’ un’altra opportunita’ dei birmani illegali per mettersi in regola senza uscire dal Paese, e’ stato appena annunciato un piano di regolarizzazione dei clandestini dovuto al fatto che manca manodopera a basso costo. Si trattera’ di vedere se il Governo iniziera’ a varare un serio programma di gestione immigrazione.
Tra gli immigrati continua ad esserci discriminazione sistematica con pregiudizi che aumentano la tensione sociale. Corruzione, minacce e sfruttamento, se non frenate, rendono i mediatori sempre piu’ forti. Gli immigrati continuano a subire lo sfruttamento dei loro datori di lavoro, una sistematica corruzione di ufficiali governativi (polizia in primo luogo ed altri che li devono proteggere) a cui si aggiunge ora il costo per mettersi in regola il quale, una volta formalizzato, sembra difficile che potra’ portare loro benefici poiche’ questa e’ stata l’esperienza di migliaia di immigrati birmani a Khon Kaen i quali, dopo aver completato la VN, non hanno ottenuto beneficio alcuno ed hanno deciso che troppo e’ troppo.
Diversi ufficiali di alto rango hanno dichiarato che e’ venuto il momento di sistemare questo casino in modo piu’ razionale, considerando diritti umani assieme ad altri bisogni quali sicurezza nazionale e bisogno economico. La commissione parlamentare sul lavoro ha fatto un disegno di legge sulla manodopera degli immigrati e Abhisit continua a dire che il censimento di quest’anno rivelera’ il numero di immigrati in Tailandia cosi’ da poter formulare politiche d’immigrazione in futuro anche se e’ evidente che il team di censitori ha difficolta’ a scovare gli immigrati poiche’ i loro padroni li tengono ben nascosti.
Sono passati oltre 20 anni di immigrazione irregolare e non e’ per niente bello pensare quanti immigrati hanno avuto la stessa sorte di Awa (discriminati anche da morti). Gli immigrati rimangono silenziosi e disorganizzati di fronte a tutto questo sfruttamento con solo una manciata di esempi positivi dei loro diritti nonostante vi siano centinaia di ONG che li assistono. Fintantoche’ il Governo Tailandese non provvede a varare in fretta delle norme per migliorare le loro condizioni, regnera’ sempre sfruttamento.
Forse e’ proprio ora che si discuta di moralita’ in tema di immigrazione poiche’ la maggior parte degli immigrati sono Birmani oppressi nella loro terra ed anche se si puo’ concordare sul fatto che la radice della causa migratoria non e’ responsabilita’ intera della Tailandia, questo Paese pero’ trae benefici enormi dalla massa di inermi lavoratori Birmani facilmente sfruttabili e pertanto ne deve accettare il pesante fardello assumendosi certe responsabilita’.
Se la Tailandia continua a dimostrarsi negligente verso gli immigrati pensando solo al loro sfruttamento senza mostrare alcun dovere a trattarli bene, forse si puo’ concludere che le tante amministrazioni sono riuscite a creare e sostenere una zona sociale senza leggi che possiamo vedere oggi dove gli immigrati non godono di meccanismi di protezione base, non rientrano nelle leggi e viene loro negato persino il piu’ basilare dei diritti umani.
Le politiche tailandesi hanno contribuito per tanto tempo allo sfruttamento immorale di questi lavoratori “temporanei”. Forse e’ arrivato il momento per la Tailandia di ricevere un po’ di condanna per violazione dei diritti umani contro i Birmani, cosa normalmente riservata solamente ai vicini dittatori.
Fonte: Andy Hall – consulente alla Fondazione Sviluppo Diritti Umani